La Policitemia Vera (PV, o morbo di Vaquez) è una malattia mieloproliferativa cronica caratterizzata dalla proliferazione neoplastica nel midollo osseo emopoietico della cellula staminale mieloide orientata prevalentemente verso la produzione dei globuli rossi con conseguente abnorme produzione di globuli rossi maturi che vengono immessi in circolo.
Epidemiologia: l’incidenza annuale della PV descritta dai registri europei e nord-americani aumenta con l’aumentare dell’età e varia da 0.7 a 2.6 nuovi casi per 100.000 abitanti; alcuni dati riportano una lieve prevalenza per il sesso maschile e l’età mediana alla diagnosi è di circa 60 anni.
Eziopatogenesi: come per molte altre neoplasie ematologiche, le cause della PV non sono attualmente note. Da un punto di vista patogenetico la malattia è caratterizzata dalla capacità delle cellule progenitrici eritroidi del midollo osseo emopoietico di proliferare e maturare anche in assenza di eritropoietina (ormone che stimola fisiologicamente la produzione di globuli rossi), sfuggendo al controllo determinato da questo ormone e espandendosi progressivamente. Questo meccanismo di espansione è strettamente dipendente dalla presenza di ferro nell’organismo.
Negli ultimi anni, tuttavia, sono stati fatti dei notevoli progressi relativamente alla patogenesi della malattia con la scoperta della mutazione V617F del gene Janus Kinase-2 (JAK-2). Il gene JAK-2 codifica per una proteina ad attività tirosin-chinasica che svolge un ruolo fondamentale nella proliferazione eritroide, legandosi al recettore dell’eritropoietina e determinandone l’attivazione. La mutazione V617F del gene JAK-2 destabilizza la molecola e induce un aumento della sua attività tirosin-chinasica con proliferazione non più controllata di cellule progenitrici eritroidi e aumento del numero di globuli rossi circolanti. L’aumentata proliferazione della cellule staminale mieloide indotta dalla mutazione di JAK-2, pur essendo orientata prevalentemente verso la produzione di globuli rossi, implica, anche se in minor misura, un’aumentata produzione di globuli bianchi e di piastrine. La mutazione V617F del gene JAK-2 si riscontra in oltre il 95% dei pazienti affetti da PV. In casi più rari è possibile riscontrare una mutazione diversa, a carico dell’esone 12 del gene.
Diagnosi: proprio alla luce delle nuove acquisizioni riguardo alla patogenesi della PV, nel 2008 sono cambianti i criteri diagnostici di questa malattia. La diagnosi di PV deve essere sospettata in presenza di elevati livelli di emoglobina (> 18.5 gr/dl nell’uomo e > 16.5 gr/dl nella donna) o di ematocrito (> di 52% nell’uomo e > 50% nella donna). Per la diagnosi di PV sono tuttavia necessari diversi esami ematici e strumentali al fine di escludere una causa secondaria della policitemia:
- Emocromo e esami ematici (compresi uricemia, ferritina, acido folico e vitamina B12);
- ECG e visita cardiologica;
- Emogasanalisi, spirometria ed eventuale polisonnografia;
- Ecografia addome completo e radiografia del torace (oppure TC total body);
- RM encefalo e del tronco encefalico;
- Biopsia osteo-midollare ed aspirato midollare (per colture cellulari ed eventuale cito-genetica);
- Screening trombofilico;
- Dosaggio dell’eritropoietina sierica;
- Ricerca della mutazione V617F del gene JAK-2;
- Eventuale valutazione della crescita spontanea di colture eritroidi in vitro.
I nuovi criteri diagnostici definiti dalla World Health Organization (WHO) nel 2008 sono:
CRITERI MAGGIORI
- Emoglobina > 18.5 gr/dl nell’uomo o > 16.5 gr/dl nella donna o altra evidenza di incremento della massa eritrocitaria (ematocrito > del 99esimo percentile, o emoglobina > 17 gr/dl nell’uomo e > 15 gr/dl nella donna in presenza di documentato aumento di almeno 2 gr/dl rispetto ai valori standard, o aumento del valore della massa eritrocitaria > del 25% rispetto ai valori basali).
- Presenza della mutazione V617F del gene JAK-2 o altre mutazioni funzionalmente similari come quella dell’esone 12 del gene JAK-2.
CRITERI MINORI
- Presenza di aumentata cellularità midollare con prominente proliferazione a carico dei precursori eritroidi, megacariocitari e granulocitari;
- Eritropoietina sierica al di sotto dei valori normali;
- Formazione di colonie eritroidi spontanee (in assenza di fattori stimolanti) endogene in vitro.
Per la diagnosi di PV è necessaria la presenza di entrambi i criteri maggiori e 1 minore oppure la presenza del primo criterio maggiore e di 2 criteri minori.
Manifestazioni cliniche: i sintomi della PV sono fondamentalmente correlati all’espansione della produzione dei globuli rossi e all’ingombro che questi creano a livello dei vasi. In oltre il 20% circa dei pazienti un episodio trombo-embolico arterioso o venoso è riscontrabile all’anamnesi o è presente alla diagnosi. Virtualmente tutti i distretti dell’apparato vascolare possono essere interessati e le più comuni manifestazioni sono: trombosi a carico delle arterie o delle vene mesenteriche, sindrome di Budd-Chiari (trombosi delle vene sovra-epatiche), trombosi della vena porta o della vena splenica, infarto del miocardio, trombosi venosa profonda, ictus cerebri, trombosi dei vasi retinici. In alcuni casi queste manifestazioni cliniche possono precedere di alcuni mesi la fase policitemica. I pazienti possono inoltre presentare alla diagnosi prurito intenso (soprattutto dopo esposizione dall’acqua, es. dopo la doccia), cefalea, vertigini, letargia, sudorazioni profuse, astenia, ipertensione, disturbi visivi, pletorismo del volto e del palmo delle mani, dolori di stomaco per la presenza di ulcere peptiche e gotta (causata dalla quasi costante iperuricemia).
Nella PV è possibile inoltre la presenza di un’aumentata tendenza emorragica e possono essere presenti alla diagnosi sindromi emorragiche come ad esempio gli emartri (ematomi a carico delle articolazioni).
Fattori prognostici: la prognosi di questa malattia è determinata da molti fattori clinico-biologici. Tuttavia, ad oggi, si ritiene che i pazienti affetti da PV possano avere una mediana di sopravvivenza che supera i 10 anni dalla diagnosi. Le principali cause di morte legate a questa malattia sono le complicanze tromboemboliche e la trasformazione in emopatie maggiormente aggressive. Infatti, come conseguenza di fattori genomici, dell’eventuale trattamento effettuato, dell’instabilità genetica tipicamente associata a questa malattia e dell’insorgenza di addizionali mutazioni (es. del gene NRAS), circa il 20% dei pazienti affetti da PV può andare incontro ad una trasformazione verso una forma di Mielofibrosi e circa il 5% dei pazienti (in relazione all’assunzione o meno di farmaci citotossici) può andare incontro allo sviluppo di una leucemia acuta a fenotipo prevalentemente mieloide e a prognosi generalmente grave.
Negli ultimi anni sono stati delineati i criteri che ci consentono di identificare i pazienti ad alto rischio, cioè i pazienti che presentano un aumentato rischio di andare incontro a complicanze di tipo trombotico e a eventuale trasformazione in emopatie maggiormente aggressive.
I pazienti ad alto rischio presentano le seguenti caratteristiche:
- Età > di 60 anni;
- Pregressa trombosi documentata;
- Conta piastrinica > 1.000.000/mmc;
- Diabete o ipertensione che necessitano di trattamento farmacologico;
- Ingrandimento della milza marcato (> 5 cm dall’arcata costale alla palpazione) o sintomatico (dolore, sazietà precoce).
Molti studi tuttavia indicano che altri fattori possono avere un significato prognostico rilevante nella PV, come ad esempio la presenza o meno della mutazione del gene JAK-2, il valore dell’ematocrito e la conta dei globuli bianchi.
Terapia: in tutti i pazienti affetti da PV la terapia di prima linea è attualmente costituita dalla salassoterapia, che ha lo scopo di indurre una carenza di ferro, tale da limitare la proliferazione midollare delle cellule progenitrici eritroidi; lo scopo della salassoterapia dovrebbe essere quello di mantenere i livelli di ematocrito al di sotto di 45%. Nei pazienti che non hanno controindicazioni, la somministrazione cronica di basse dosi di aspirina (75-100 mg) è indicata al fine di ridurre il rischio di eventi cardiovascolari.
Nei pazienti ad alto rischio di età maggiore di 60 anni è indicata in prima linea, in associazione alla salassoterapia, la somministrazione per via orale di idrossiurea. Per i pazienti non rispondenti, come seconda linea può essere utilizzata la terapia con interferone oppure, nei pazienti con età maggiore a 75 anni, con busulfano per via orale. Nei pazienti ad alto rischio di età inferiore a 60 anni, la terapia di prima linea prevede la somministrazione di interferone per via sottocutanea in associazione alla salassoterapia. Nei pazienti non rispondenti, è indicata la terapia con idrossiurea oppure con anagrelide.
Una possibile alternativa nei pazienti che non rispondono o che non tollerano la somministrazione di idrossiurea o anagrelide è la terapia con pipobromano.
Nelle pazienti in stato di gravidanza è indicata la terapia con interferone associata alle bassi dosi di aspirina da sostituire con l’eparina a basso peso molecolare nella fase del parto.
Nuove terapie: le nuove acquisizioni in campo molecolare che sono state fatte negli ultimi anni e che hanno permesso di comprendere meglio i meccanismi patogenetici che stanno alla base di questa malattia, hanno fornito gli strumenti per lo sviluppo di nuovi farmaci potenzialmente in grado di modificarne la storia naturale. Tra i nuovi farmaci sviluppati e ancora in fase di sperimentazione, ricordiamo gli inibitori di JAK-2, come ad esempio il CEP701. Questi farmaci si sono dimostrati in grado di migliorare i sintomi costituzionali legati alla PV, ridurre la proliferazione ertitroide anche se non hanno ridotto l’incidenza e la gravità di eventi trombotici. Altri farmaci in corso di sperimentazione utilizzati per il trattamento della PV sono gli inibitori dell’istone deacetilasi (es. vorinostat e givinostat).