La leucemia a cellule capellute (Hairy cell leukemia, HCL) è una neoplasia linfoide a decorso tipicamente indolente, descritta per la prima volta nel 1920 e riconosciuta come entità istopatologia a sé stante nel 1958, caratterizzata da una trasformazione neoplastica dei linfociti B maturi, che assumono il classico aspetto morfologico con propaggini citoplasmatiche simili ai capelli, da cui deriva il nome di “cellule capellute” con proliferazione a carico del sangue venoso periferico, del midollo osseo emopoietico, della milza e meno frequentemente di altri organi ed apparati.
Epidemiologia: la HCL è una neoplasia rara e costituisce circa il 2% delle leucemie linfoidi. Secondo dati dei registri americani, negli USA vengono diagnosticati circa 600 nuovi casi di HCL ogni anno. E’ una patologia dell’età adulto-avanzata, con una mediana di insorgenza intorno ai 50 anni e una netta prevalenza nel sesso maschile (rapporto M:F pari a 5).
Eziopatogenesi: sebbene la patogenesi della HCL non sia ancora nota, molti sono i meccanismi patogenetici e fisiopatologici che sono stati proposti per spiegarne il razionale. Un elemento importante nel processo di comprensione dei meccanismi che stanno alla base di questa complessa malattia, è la dimostrazione che il processo neoplastico colpisce i linfociti B maturi attivati responsabili della memoria immunologica.
Diagnosi: sono necessari i seguenti accertamenti clinico-strumentali:
- Accurato esame obiettivo
- Esame emocrocitometrico;
- Esame cito-morfologico dello striscio di sangue venoso periferico;
- Esami emato-chimici (compresa LDH, uricemia, beta2-microglobulina sierica ed elettroforesi siero-proteica);
- Esami ematici per lo studio dell’autoimmunità;
- Aspirato midollare per esame cito-morfologico dello striscio di sangue midollare;
- Studio citochimico da sangue periferico e midollare (colorazione chimica fosfatasi alcalina tartrato-resistente);
- Tipizzazione immunofenotipica da sangue midollare (antigeni tipici: CD20, CD22, CD11c, CD103, CD25, CD123, Annessina A1, DBA.44);
- Biopsia osteomidollare per esame istologico;
- TC total body per valutazione dei linfonodi e di fegato e milza.
Manifestazioni cliniche: i sintomi e i segni di esordio della HCL comprendono astenia marcata, pallore cutaneo, febbricola, sudorazioni notturne, ingrandimento di milza e fegato (splenomegalia ed epatomegalia). Molto frequente è il riscontro all’esame emocromocitometrico di una pancitopenia (bassi livelli di emoglobina, di globuli bianchi e di piastrine) e caratteristico è il riscontro di un basso numero di monociti (monocitopenia) e della presenza all’esame citomorfologico dello striscio di sangue periferico di linfociti con citoplasma tipicamente villoso (“cellule capellute”). Altre manifestazioni cliniche comprendono disordini neurologici, fenomeni autoimmuni e vasculitici, localizzazioni scheletriche e ricorrenti infezioni opportunistiche. Un reperto di frequente riscontro è inoltre la presenza di una fibrosi midollare, che può determinare una “punctio sicca” all’aspirato midollare (sangue midollare non aspirabile), che rende necessaria l’esecuzione di una biopsia osteomidollare.
La diagnosi differenziale con altre sindromi linfoproliferative croniche è spesso non facile, in quanto la HCL si può talora presentare con quadri clinici sfumati e con localizzazioni atipiche (es. cutanee, viscerali, pleuriche e meningee). Inoltre, sono descritte anche alcune varianti della HCL, la più comune delle quali è caratterizzata da: leucocitosi, splenomegalia meno frequente, linfociti non villosi, assenza di fibrosi midollare e scarsa risposta alle terapie.
Complicanze e evoluzione clinica:
la HCL è spesso associata a 4 complicanze principali:
- Insorgenza di gravi infezioni batteriche od opportunistiche (infezioni virali, polmoniti da Pneumocystis Jiroveci, riattivazioni tubercolari, infezioni fungine);
- Insorgenza di malattie autoimmuni, in particolare di vasculiti, all’esordio della malattia o durante la storia clinica;
- Associazione con altre neoplasie ematologiche (disordini plasmacellulari, linfomi e altre sindromi linfoproliferative);
- Associazione con altre neoplasie (es. sarcoma di Kaposi, carcinomi del retto e del colon).
Prognosi: con le terapie attuali la prognosi della HCL è buona con frequenti e durature remissioni e una probabilità globale di sopravvivenza a 10 anni dalla diagnosi pari a circa il 90%. Proprio a causa di questa relativamente lunga aspettativa di vita, specie nei pazienti giovani, vi è un elevato rischio di sviluppare una neoplasia secondaria (incidenza cumulativa a 25 anni dalla diagnosi: 30%).
Terapia: nonostante il suo decorso indolente, molti pazienti affetti da HCL sono sintomatici alla diagnosi e, pertanto, il trattamento deve essere iniziato subito. Storicamente l’approccio terapeutico più frequentemente usato per la terapia della HCL era la splenectomia, che tuttavia, assicurava delle risposte non durature nel tempo. L’interferone può essere utilizzato anche attualmente con il vantaggio, se utilizzato a basse dosi, di non avere gli effetti collaterali della chemioterapia (può essere utilizzato anche in gravidanza) e lo svantaggio di dover essere somministrato a basse dosi indefinitamente. La remissione comunque si ottiene nella quasi totalità dei casi.
Verso la fine degli anni 80, è stato introdotto nella pratica clinica l’uso degli analoghi delle purine (Cladribina e Pentostatina), che hanno rivoluzionato la terapia di questa malattia, determinando percentuali di risposte tra il 95% e il 100% e un notevole prolungamento della sopravvivenza globale dalla diagnosi.
Attualmente la terapia standard per la HCL è costituita da un singolo ciclo di Cladribina in infusione continua per 7 giorni oppure in infusione per 2 ore in 5 successivi giorni.
La Pentostatina è attualmente considerata una terapia di seconda linea o un’alternativa alla Cladribina.
Il Rituximab viene usato oggi in associazione con gli analoghi delle purine in pazienti con HCL refrattaria o recidivata. Altre terapie in fase di sperimentazione comprendono gli anticorpi monoclonali e immunotossine diretti contro gli antigeni di superficie CD22 e CD25 rispettivamente.
Novità: nel corso del sedicesimo congresso della European Hematology Association (EHA) tenutosi a giugno del 2011, sono stati presentati i risultati di uno studio cooperativo multicentrico diretto dal Prof. Brunangelo Falini (Ordinario di Ematologia dell’Università di Perugia), che ha permesso di scoprire la presenza ricorrente di una mutazione del gene BRAF nei pazienti affetti da HCL. In questo studio, pubblicato sul prestigioso New England Journal of Medicine, tutti i casi di pazienti affetti da HCL studiati (46 pazienti) presentavano una mutazione chiamata V600E del gene BRAF, un gene la cui mutazione è implicata nella patogenesi di alcune neoplasie solide, come il melanoma. Al contrario, in nessun dei 193 casi affetti da altre neoplasie linfoidi di derivazione dai linfociti B periferici è stata riscontrata questa mutazione, la cui presenza nell’ambito delle neoplasie ematologiche sembrerebbe dunque essere altamente specifica per la HCL. Studi in vitro hanno inoltre permesso di dimostrare che la mutazione del gene BRAF porta alla attivazione di alcune note vie di segnale intracellulare in grado di dare alla cellula uno stimolo proliferativo.
La scoperta della presenza della mutazione V600E del gene BRAF nella HCL ha delle notevoli implicazioni patogenetiche, in quanto ci può permettere di comprendere meglio i meccanismi patologici che sono alla base di questa rara malattia. La conoscenza delle basi biologiche della malattia può portare allo sviluppo di farmaci target che agiscano solo sulle specifiche alterazioni cellulari indotte dall’alterazione del gene BRAF con possibile miglioramento della prognosi. Infine, la presenza di questa mutazione che coinvolge il gene BRAF può avere anche delle implicazioni nella diagnosi di questa rara forma di leucemia in tutti quei casi in cui la diagnosi è dubbia.