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EmatologiaNews

Leucemia Acuta Promielocitica

By 24 Luglio 2014Gennaio 28th, 2019No Comments

La Leucemia Acuta Promielocitica (LAP) è un sottotipo distinto di leucemia acuta mieloide (LAM) con peculiari caratteristiche patogenetiche, molecolari, fisiopatologiche e cliniche che la rendono di fatto una entità patologica quasi a sé stante e rappresenta, a seconda delle casistiche, il 5-15% di tutte le forme di LAM.
Da un punto di vista clinico la LAP ha un’età media di insorgenza più giovanile rispetto alle altre LAM (età mediana intorno ai 35-40 anni) ed è caratterizzata dalla comparsa di una grave sintomatologia emorragica dovuta alla presenza di un ridotto numero delle piastrine e di una grave alterazione del meccanismo coagulativo. Si stima che circa il 5% dei pazienti con LAP va incontro ad emorragie maggiori (es. cerebrali) fatali già prima di poter essere sottoposto al trattamento.
La elevata tendenza emorragica di questo tipo di leucemia è determinata dal fatto che le cellule leucemiche che si accumulano nel midollo osseo emopoietico e nel sangue periferico sono in grado di produrre grandi quantità di sostanze proteolitiche, fibrinolitiche o ad azione pro-coagulante che comportano il rapido instaurarsi di una grave coagulopatia ad eziopatogenesi complessa che espone il paziente prevalentemente ad un levato rischio emorragico associato, in misura minore, anche ad un rischio trombotico.
Per tale motivo è importantissimo nella fase iniziale della gestione del paziente con LAP effettuare un’adeguata terapia di supporto, basata sulla trasfusione di concentrati piastrinici, di plasma fresco congelato e di emoderivati (es. fibrinogeno) con o senza antifibrinolitici al fine di riequilibrare il sistema della coagulazione. Altrettanto importante è completare rapidamente le indagini diagnostiche per iniziare il prima possibile la terapia specifica, l’unica in grado di correggere la coagulopatia.
Da un punto di vista morfologico la LAP è caratterizzata dall’accumulo nel midollo osseo emopoietico di cellule leucemiche con un elevato numero di granulazioni citoplasmatiche, che ne consentono la facile distinzione (anche grazie a tecniche di colorazione per la mieloperossidasi) rispetto ad altre forme di LAM. La LAP è stata classificata dal gruppo cooperativo Franco-Americano-Britannico (FAB) come M3 ma esistono delle varianti morfologiche, la più frequente delle quali è costituita dalla variante microgranulare (FAB M3v).
Per quanto spesso dirimenti, le sole caratterizzazioni morfologica e citochimica non sono sufficienti per la diagnosi di LAP; sono infatti le tipiche anomalie citogenetiche e molecolari ad essere le fondamentali caratteristiche di questa malattia, la cui determinazione è essenziale per una diagnosi di certezza.
La LAP è infatti caratterizzata dalla presenza della traslocazione cromosomica bilanciata tra i cromosomi 15 e 17, t(15;17). Questa traslocazione da luogo alla formazione di una proteina anomala di fusione chiamata PML/RARalfa che coinvolge i geni che codificano per il recettore alfa dell’acido retinoico (RARalfa) ed un gene chiamato Promielocitico (PML) presenti rispettivamente sul cromosoma 17 e 15 e che a causa della traslocazione vengono alterati nella loro espressione. Questa alterazione determina un blocco maturativo delle cellule staminali mieloidi che si arrestano allo stadio di promielocita, risultando in un accumulo a livello midollare di questo tipo di cellule.
Per tale motivo è assolutamente raccomandata da tutte le linee guida internazionali la diagnosi genetica, che consiste nell’individuare, attraverso tecniche di citogenetica e di biologia molecolare, la classica traslocazione e/o la proteina anomala PML/RARalfa. Un metodo rapido molto usato per mettere in evidenza il PML/RARalfa, è l’immunofluorescenza, che consente di avere la diagnosi di LAP in non più di 2-3 ore. Si basa sull’impiego di un anticorpo marcato con sostanze immunofluorescenti diretto contro il gene PML: la caratteristica disposizione intranucleare microgranulare (detta “microspeckled”) è patognomonica della LAP, rispetto alla disposizione a “corpi nucleari” che si può trovare in altre forme di leucemia.
Proprio per la presenza di questa tipica alterazione, le cellule leucemiche di questa leucemia sono particolarmente sensibili all’effetto differenziante dell’acido retinoico: tale sostanza, data a dosi farmacologiche, supera il blocco maturativo imposto dall’alterazione molecolare e induce differenziazione e successiva morte delle cellule leucemiche. Il trattamento della LAP differisce notevolmente dal trattamento delle altre forme di LAM, in quanto prevede l’associazione della chemioterapia convenzionale proprio con l’acido retinoico, durante tutte le fasi del trattamento.
Il gruppo italiano GIMEMA ha realizzato alla fine degli anni 90 lo schema di trattamento “AIDA”, che prevede un terapia di induzione con acido retinoico e idarubicina, in grado di ottenere una percentuale di remissioni complete molto più alta rispetto alle altre forme di LAM che si aggira intorno al 90%. La terapia di consolidamento, effettuata dopo l’ottenimento della remissione completa, si avvale di 2-3 cicli che prevedono sempre l’associazione dell’acido retinoico con diversi chemioterapici convenzionali. Tale terapia di consolidamento viene attualmente modulata in base ai fattori prognostici (numero di globuli bianchi e di piastrine all’esordio): infatti, i pazienti con LAP a rischio basso ed intermedio vengono sottoposti a consolidamenti meno intensivi nella fase post-remissionale rispetto ai pazienti affetti da LAP ad alto rischio.
Contrariamente alle altre forme di LAM, visto l’alta percentuale di risposte ottenibili con questa terapia, non è prevista una procedura trapiantologica in prima remissione per i pazienti affetti da LAP, mentre non è stato ancora chiarito se l’uso di una terapia di mantenimento, con acido retinoico associato a farmaci come il methotrexate e la 6-mercaptopurina (simile a quella comunemente usata nelle leucemie acute linfoblastiche) della durata di almeno due anni sia effettivamente necessaria in tutti i pazienti indipendentemente dal tipo di antraciclinico utilizzato e dal consolidamento ricevuto. Il raggiungimento delle remissione molecolare dopo la terapia di consolidamento è associato ad una sopravvivenza prolungata, mentre la conversione ad uno stato di positività precede una recidiva ematologica. Il recente sviluppo della tecnica di biologia molecolare quantitativa (RQ-PCR) permette di determinare i livelli di riduzione o incremento del trascritto e di standardizzare le metodologie in diversi centri.

La scoperta della sensibilità di questa forma di leucemia all’acido retionico e lo sviluppo di schemi di trattamento che prevedono l’associazione dell’acido retinoico alla chemioterapia convenzionale, ha modificato drammaticamente la prognosi di questa malattia, che era fino a poco tempo fa considerata come la forma più temibile tra le LAM e che è invece oggi considerata come la forma più curabile e guaribile, nonostante esista ancora il 5% dei pazienti che muore prima di poter iniziare una terapia. Attualmente, un pronto e corretto trattamento in un centro ematologico specializzato consente di guarire circa il 75-80% dei pazienti affetti da LAP.

Terapie per la recidiva
Nonostante il netto miglioramento della prognosi di questo tipo di LAM, con i trattamenti attuali circa il 20-25% dei pazienti può andare incontro ad una recidiva. Per tale motivo numerosi studi si sono concentrati su questo subset di pazienti. Un farmaco che si è rivelato molto efficace nel trattamento delle recidive di LAP è il triossido di arsenico, in grado di determinare la morte delle cellule leucemiche con meccanismi non ancora ben compresi e che, nelle differenti sperimentazioni cliniche in associazione con l’acido retinoico, ha determinato una percentuale di remissioni complete vicine al 70-80% nei pazienti recidivati
I pazienti con recidiva di LAP possono inoltre beneficiare, una volta ottenuta la seconda remissione completa, anche molecolare, di un trattamento di consolidamento con trapianto autologo di cellule staminali emopoietiche (CSE) o, in base alla disponibilità di un donatore e al monitoraggio della malattia minima residua, con trapianto allogenico di CSE.

Ultime novità
Negli ultimi anni i differenti gruppi cooperativi internazionali si sono concentrati sull’importanza del monitoraggio della malattia minima residua mediante la tecnica di biologia molecolare RQ-PCR in seguito all’osservazione che i pazienti che andavano incontro ad una recidiva molecolare (cioè un incremento dei livelli di proteina anomala riscontrata alla biologia molecolare) dopo poco tempo sviluppavano inevitabilmente una franca recidiva di malattia; molti gruppi si sono per tale motivo concentrati sul trattamento dei pazienti con recidiva molecolare, confermando la necessità di un trattamento precoce in questi pazienti, non appena comparsa la recidiva molecolare.
Gli ultimi studi hanno consentito di evidenziare come l’arsenico triossido sia il farmaco migliore per il trattamento di questi pazienti, per la sua capacità di indurre un elevato tasso di remissioni complete e per la sua ridotta tossicità rispetto alla chemioterapia convenzionale.
Un altro filone di studio degli ultimi anni è stato inoltre quello di individuare dei fattori prognostici di base che possano essere in grado di individuare anticipatamente quali pazienti andranno incontro ad una recidiva dopo il trattamento: in questa ottica sia il gruppo cocperativo italiano GIMEMA che, più recentemente, il gruppo cooperativo spagnolo PETHEMA hanno dimostrato che le forme di LAP che esprimono, alla tipizzazione immunofenotipica effettuata alla diagnosi, elevati livelli di un antigene della filiera T-cellulare (chiamato CD56) hanno una maggiore tendenza alla recidiva ponendosi la domanda se queste forme debbano essere trattate in maniera più aggressiva.
E’ necessario inoltre ricordare che sono in fase di sperimentazione clinica diversi protocolli (anche da parte del gruppo italiano GIMEMA) che mirano ad eliminare completamente l’uso della chemioterapia convenzionale nel trattamento della LAP a rischio basso e intermedio prevedendo l’utilizzo dell’arsenico triossido da solo o associato all’acido retinoico nel trattamento di prima linea di questi pazienti.
Un altro farmaco in fase di sperimentazione clinica è il Gentuzumab Ozogamicin (GO), un anticorpo monoclonale diretto contro il CD33, che si è dimostrato altrettanto efficace, sia nei pazienti in recidiva ematologica che in quelli in recidiva molecolare isolata: attualmente il suo uso può essere consigliato negli anziani non eleggibili per chemioterapia convenzionale o in associazione con gli altri farmaci.
Un cenno infine ad un derivato sintetico dell’acido retinoico chiamato Tamibarotene: ci sono alcune segnalazioni in letteratura dell’efficacia di questo farmaco nell’indurre remissioni molecolari in pazienti con LAP in stato avanzato.